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Il doctor House, il lockdown e le elezioni ENPAP

Quando gli ideatori del Doctor House proposero il soggetto della serie ai potenziali investitori e produttori, la sinossi di presentazione fu formidabile: “Se hai una malattia gravissima, preferisci un medico che ti tiene la mano e ti sta vicino oppure un bastardo che ti salva la vita?”.
Ecco, suonava più o meno così. La risposta era scontata, il successo era pronto e servito, il plot narrativo prometteva emozioni, colpi di scena, soluzioni geniali.
Con modalità umane a volte oltre il discutibile, vero, ma giustificatissime dallo scopo finale e nobile degli interventi di quel medico irresistibile, anche perché dotato opportunamente di un fatal flaw (la sua malattia alla gamba, che gli dava dolori insopportabili), che abbiamo tutti per questo un po’ amato, fantasticato e sognato come figura curante, in caso di situazioni estreme e inaffrontabili.
Oggi ci siamo, in una situazione complicata e difficilmente gestibile. Il virus circola. La seconda ondata, tanto prevista quanto mal preparata, travolge tutte le logiche, gli intenti, le visioni.
E come ogni condizione stressante che si ripete per la seconda volta – la strange situation di Mary Ainsworth insegna – un secondo lockdown sarebbe più duro del primo. Perché sappiamo già cosa ci aspetta; perché il primo sembrava una tappa verso una soluzione, mentre il secondo sarebbe un déjà vu senza premio finale; perché siamo stati provati e non è arrivato nessun doctor House (o forse ne sono arrivati troppi) a prospettarci di trattarci male, ma di salvarci di sicuro la vita.
E qui, in questo spazio di tempo che apre a scenari dolorosi, perché tutti abbiamo persone vicine cui vogliamo bene, più vulnerabili di noi, ci sono le cose della vita quotidiana: le elezioni politiche del paese più potente del mondo a novembre e le elezioni del nostro ente di previdenza a febbraio.
E bisogna starci, sulla quotidianità, con quella sana dose di negazione che ci permette ogni giorno di vivere.
E allora anche impegnarsi in un progetto nuovo ha senso: la lista Previdenza&Solidarietà, con cui mi candido, è prima di tutto una speranza. La speranza che serva ancora parlare di politica, di visione, di scelte: da operare, certo, dopo aver valutato le strategie finanziarie indicate da consulenti economisti preparati e autorevoli; andando oltre, però, le competenze e le logiche squisitamente tecniche.
Lasciar fare scelte politiche a un comitato tecnico-scientifico significa abdicare: sia che si tratti di coronavirus, per un governo centrale, sia che si tratti di politiche per la previdenza, per il governo dell’ente.
Il nostro obiettivo, come lista Previdenza&Solidarietà, credo sia impegnarci al massimo per introdurre la terza possibilità: non è necessario scegliere tra il bastardo che ti salva la vita e il medico gentile che ti sta vicino.
Come psicologi, prima che come politici, riconosciamo il valore delle due istanze: competenza e compassione. Vogliamo difendere, nel nostro programma di lista e nel nostro operato futuro (se avremo la forza di convincere i colleghi a votare e a votarci) una politica che, oltre a decisioni tecnico-economiche mirate, esprima l’anima della nostra categoria.
È il momento di rappresentare il meglio della professione, in un confronto aperto e rispettoso verso colleghe e colleghi, per un’istituzione più vicina, attenta, focalizzata e capace di ascolto.
A febbraio 2021, ogni voto sarà una costruzione di futuro; una reazione viva e possibile davanti all’impotenza forzata di questo tempo pandemico, così incerto e triste. Insieme, alla prossima consultazione per il nostro Ente, vogliamo unirci nel valore della partecipazione e nell’esercizio della speranza, per respingere con forza il “tertium non datur”.
Se il doctor House ti salva la vita ed è anche emotivamente attento e disponibile, non è meglio? Noi lo crediamo davvero, e speriamo di essere con voi.

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