Taking too long? Close loading screen.

I treni sospesi e la psicologia di domani

Qualche anno fa mi è accaduto di fare un lungo percorso, in treno, seduta accanto a cinque ragazzi sconosciuti che parlavano del loro lavoro. Erano muscolosi, nei tratti e nel modo di esprimersi, e dopo pochi minuti ero entrata in conversazione, perché il discorso mi colpiva e mi parlava di vicende umane lontane dalla mia.

Quei cinque giovani uomini erano operai edili. Ma non di quelli che lavorano sulle impalcature, no; di quelli che oltre alla competenza specifica del loro lavoro, costruire e ristrutturare, ne avevano una del tutto eccezionale. Erano alpinisti provetti, lavoravano in cima a palazzi altissimi, sospesi come equilibristi acrobati, capaci di mettere mattoni, stuccare, imbiancare, rifinire, a molti metri di altezza dal suolo; nel vuoto, appesi a corde e moschettoni potenti, in un elemento poco adatto agli umani: loro stavano in aria, in cielo, con il sole, la pioggia e il vento. “Posso chiedervi quanto guadagnate?”.

Dopo aver fatto mille domande su quello che facevano e su come lo facevano, mi era venuta questa, che avevano accolto con semplicità e immediatezza, perché ormai eravamo quasi amici, o amici da sempre, su quel treno che attraversava Toscana e Liguria. “Come tutti gli altri.” “In che senso: gli altri chi?”, avevo chiesto. Intendevano come tutti gli altri operai edili; e cioè 7 euro l’ora. Sette. Che per una giornata di otto ore, appesi a un filo, fa 56 euro. Da lì erano nate molte considerazioni; ne avevamo parlato per tutto il viaggio, chiedevo loro perché non pensavano di mettersi in proprio. Ma la loro capacità incredibile di volare sul mondo si accompagnava alla paura di puntare più in alto. Erano, giustamente, paralizzati all’idea di diventare imprenditori e di mettere a rischio uno stipendio fisso: lavoravano, come i loro genitori, alle dipendenze di qualcuno e, semplicemente, questa ipotesi non era nel loro orizzonte; non l’avevano mai contemplata. Un po’ come se mi avessero prospettato di fare, che so, l’astronauta, quando al liceo immaginavo un’attività professionale per il mio futuro.

Ho scelto la psicologia e, come tutti noi, so bene che la nostra categoria è spesso poco riconosciuta e considerata. Eppure ci occupiamo di persone, della loro parte più utile e insostituibile (e vulnerabile), per condurre la vita in senso personale, familiare, lavorativo. Alcuni di noi si occupano dell’inferno della mente, come dice Vasco Rossi; altri di scuola, di nuove generazioni, di anziani, di etica, di sport, di formazione, di comunicazione, di organizzazioni, di neuroscienze. Non ambiti propriamente inutili. E parliamo di dignità. Se noi psicologi siamo poco riconosciuti e mal retribuiti in moltissimi settori; se non siamo quasi mai interpellati, persino quando si parla della nostra disciplina; se siamo spesso invisibili dal punto di vista del prestigio scientifico e sociale; se la pensione media di uno psicologo iscritto all’ENPAP è di circa 190 euro al mese, non è il caso di cambiare decisamente traiettoria? Di andare oltre le divisioni; che ci tolgono prospettiva, aria, altezza e orizzonti aperti. E di essere in tanti, a occuparci di noi: a livello di Ordine Nazionale, di Ordini Regionali, di ENPAP, di Associazioni di professionisti.

Sono candidata con Previdenza&Solidarietà alle elezioni ENPAP 2021 perché è una lista di colleghi che credono nell’importanza di stare dalla stessa parte, di creare uno spazio compatto e solidale, di operare uniti come categoria. Di diventare astronaute e astronauti, o acrobati a mezz’aria, stuccatori e rifinitori, per contribuire a un orizzonte diverso per la professione e superare la frammentazione oggi esistente negli interventi di natura politico-professionale. Vogliamo cercare insieme nuove strade e nuovo coraggio: per realizzare discorsi condivisi, di colleganza rispettosa e attiva, ognuno nel proprio ambito di competenza; nello spirito di una forte comunione di intenti.

E forse questo momento, così drammatico per tutti, può portare un vento di alleanza e trasformare questo tempo sospeso, di pandemia, in un’opportunità: per costruire maggiore autorevolezza, visibilità e forza contrattuale nei confronti degli interlocutori istituzionali; per avere più impatto, ascolto e dignità, reale e percepita; per ottenere un ruolo adeguatamente riconosciuto, anche economicamente, nella realtà professionale italiana; per muoverci verso la costruzione di scenari equi, inclusivi e incisivi per la nostra categoria.

Dopo qualche mese, anni fa, uno di quei ragazzi conosciuti in treno mi ha telefonato. Per dirmi che tre di loro si stavano vedendo, dopo il lavoro, per parlare di come organizzarsi insieme per costituire una piccola impresa. Non so se ce l’hanno fatta: le amicizie in treno sono intense, ma passano su rotaie veloci e scintille distantissime. Io spero che l’abbiano trovata, quella corda per salire più in alto. Ma forse erano già arrivati su, mentre ne parlavano ogni sera di fronte a una birra, con i piedi finalmente a terra.

Condividi:

Facebook
LinkedIn